C’è una singolare antinomia che, come una nota bizzarra, lega tutti i lavori di Giuseppe Ayna: da una parte il pittore ricerca la semplificazione dell’immagine, la sua riduzione fin quasi all’essenzialità delle forme geometriche; dall’altra, insegue la preziosità della materia, fino all’accanimento nel trarre dal colore luci e vibrazioni che non sembrano appartenergli. Dal figurativo dei quattordici anni ai quadri “astratti” di oggi, Ayna ha ingaggiato un duello con i colori per riuscire a trarne l’anima e quel segreto che ha sedotto gli artisti come lui che amano “fare” la pittura, intrattenendo con essa un rapporto diretto, manuale, fisico senza la mediazione del pennello. C’è chi usa gli stracci; chi le dita stesse. Ayna usa l’ovatta di cotone: ne fa un mucchietto fra le dita, lo intinge nel pigmento e poi la spalma sulla tela. Così entra a far parte di quella famiglia di pittori che non ha nulla a che fare con le immagini nitide, puntigliose e perfino pedanti, ma che preferisce dipingere le cose così come la luce le rivela all’occhio: indistinte, senza confini, fatte solo di masse di colori. (…) lo si vuole avvicinare a quella consorteria di artisti che amano la pittura come i bambini trovano piacevole affondare le mani nei colori: con gioia, traendone un’emozione fisica. Ecco perché i quadri di Ayna raggiungono direttamente la sensibilità dell’osservatore senza la barriera del cosiddetto “messaggio”, del concetto più o meno oscuro. Ciò che Ayna ha in testa è tutt’uno col colore che le sue dita schiacciano sulla tela come se si fosse totalmente immerso nella natura impossessandosi di un carico di blu, rossi, viola, da postare subito sul quadro. Eppure Ayna, in apparenza, non concede nulla alla seduzione del colore che è cupo, notturno. Ma, come un raggio di luce può intensamente illuminare il buio di una chiesa, così l’artista milanese scava, gratta il pigmento, come si fa con un vetro sporco, per andarne a cercare l’anima in trasparenza, sino a quando non si incendia. (…) L’astrattismo di Ayna non ha nulla di concettuale – come in tanta banale pittura – è, piuttosto un’ulteriore “distillazione” dei paesaggi precedenti. Frammenti di spazi costruiti di solo colore. Emozioni cromatiche riportate alla loro essenza, come note che si muovono su un pentagramma dove ad ogni stato d’animo corrisponde il desiderio di un colore.
Presentazione catalogo “Giuseppe Ayna. Dipinti 1985 – 1996”, Milano, 1997